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L’UE impone a Facebook la cancellazione di contenuti illeciti ed equivalenti

La corte di Giustizia Europa ha stabilito che Facebook dovrà cancellare contenuti illeciti ed equivalenti

“La Corte di giustizia europea ha stabilito che i prestatori di servizi di hosting sono tenuti a rimuovere anche i commenti o post identici o equivalenti a un contenuto già giudicato illecito”. Così esordisce il tweet della Corte della Giustizia che annuncia la nuova policy che regolerà i contenuti illeciti di Facebook”.

Secondo questa decisione, ogni Paese può pretendere la cancellazione di contenuti o limitarne l’accesso a livello mondiale. La sentenza implica che i diversi Paesi possono espandere i propri divieti su contenuti ritenuti illeciti anche oltre i propri confini. Il social network dovrà eliminare spontaneamente commenti e contenuti equivalenti da quelli denunciati.

Una decisione molto importante in tema di responsabilità delle piattaforme social, in particolare Facebook, per la quale è stato previsto un obbligo, dietro richiesta di un giudice, di monitorare l’attività dei propri utenti al fine di evitare la proliferazione di contenuti illeciti identici o similari. Il punto di partenza sarebbe però un contenuto illecito riconosciuto da un giudice nazionale.

Innocenzo Genna, esperto di policy digitali a Bruxelles.

Le motivazioni e la prima causa che ha spinto l’UE a prendere questa decisione è stato il caso di Eva Glawischnig-Piesczek, ex leader del Partito verde austriaco, quando cercò di rimuovere contenuti diffamatori che la riguardavano.

Contenuti illeciti ed equivalenti e rischio di censura

La sentenza appare sin da subito come un colpo grave per le piattaforme come Facebook. Dà loro la responsabilità di sorvegliare i contenuti illegali, mentre prima avevano solo l’obbligo di eliminare i contenuti segnalati.

Il problema sorgere quando si tratta di contenuti illeciti ed equivalenti per evitare la condivisione e la prolificazione di tali contenuti. Il problema è nell’automatizzazione di tale processo e l’ovvio rischio di fraintendimenti da parte della macchina. Per riportare l’esempio dell’avvocato Guido Scorza, presidente dell’Istituto per le politiche dell’innovazione, si potrebbe eliminare/oscurare un contenuto che per la macchina risulta illecito ma per un essere umano no. Basti pensare a tutti i post che si pubblicano criticando un contenuto giudicato illecito,

C’è della preoccupazione su questa nuova sentenza, che mina la libertà di espressione e il diritto di conoscenza se gestito male.

È rischioso il concetto di analogo o di contenuto equivalente perché quando si parla di libertà di parola il diavolo sta nei dettagli. Se si legittima l’uso degli algoritmi alla ricerca di contenuti analoghi, il rischio di censura è elevato. Infine sono contrario all’estensione globale di un provvedimento di rimozione di contenuto nazionale, salvo che l’ordine di un giudice nazionale del Paese 1 non venga validato da quello del Paese 2 nel quale si vorrebbe che il contenuto fosse rimosso. Pensiamo a cosa accadrebbe se qualsiasi contenuto sgradito a governi censori dovesse divenire inaccessibile anche in Italia.

Viene anche sottolineata l’incoerenza con la decisione UE del diritto all’oblio su Google di cui abbiamo parlato in questo articolo. Perché il diritto all’oblio di Google non si estende oltre i confini della nazione, mentre l’oscurantismo di Facebook sì?

La risposta di Facebook

Nella risposta di Facebook si esterna speranza che i tribunali adottino approcci che non minano la libertà di espressione. Ma esterna anche forti perplessità e dubbi su altri punti. Come per esempio sul ruolo che avranno le aziende che dovrebbero monitorare i contenuti illegali di un Paese. Soprattutto nota come questa sentenza mini il principio per cui i paesi non possono imporsi a vicenda le proprie regole. Un paese restrittivo come Corea o Cina può obbligare un paese europeo a cancellare determinati contenuti? Inoltre su Facebook esiste già un regolamento che vige su come e cosa un utente può condividere.

Speriamo che i tribunali adottino un approccio proporzionato e misurato, per evitare di limitare la libertà di espressione. Questa sentenza solleva interrogativi importanti sulla libertà di espressione e sul ruolo che le aziende del web dovrebbero svolgere nel monitorare, interpretare e rimuovere contenuti che potrebbero essere illegali in un determinato Paese.

Su Facebook abbiamo già degli standard della Comunità che stabiliscono ciò che le persone possono e non possono condividere sulla nostra piattaforma e un processo in atto per limitare i contenuti che violano le leggi locali. Questa sentenza si spinge ben oltre, mina il consolidato principio secondo cui un Paese non ha il diritto di imporre le proprie leggi sulla libertà di parola ad un altro Paese. Inoltre, apre la porta ad obblighi imposti alle aziende del web di monitorare proattivamente i contenuti per poi interpretare se sono ‘equivalenti’ a contenuti ritenuti illegali. Per ottenere questo diritto – conclude la nota – i tribunali nazionali dovranno prevedere definizioni molto chiare su cosa significhino ‘identico’ ed ‘equivalente’ concretamente.

 

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